Germania, anni 20. Un pericoloso maniaco si aggira per le strade adescando e poi uccidendo delle bambine. Finora ha commesso 8 terribili delitti. L’opinione pubblica, davvero inorridita, esplode quando il serial killer porta a compimento il nono omicidio. Da quel momento, giudicando inefficiente l’operato della polizia, chiunque può cerca di indagare privatamente sulla dolorosa vicenda e spera di riuscire a scovare qualche indizio che sveli la vera identità del mostro. Chiaramente queste indagini, per così dire, popolari non portano a niente di concreto e la gente non trova altra soluzione se non quella di chiudersi a riccio nel proprio microcosmo: chiunque non appartenga alla cerchia fidata di amici e familiari rischia di essere scambiato per il pericoloso maniaco. Intanto la polizia organizza retate qui e là ponendo ovviamente maggiore attenzione ai quartieri malfamati: l’unico risultato che ottiene però è quello di infastidire le associazioni criminali. I malavitosi, al solo scopo di poter tornare ad operare con maggiore libertà, decidono quindi di aggregarsi alla polizia nella ricerca del mostro. Finalmente le indagini danno i loro frutti: l’uomo, trovato dai criminali prima ancora che dalle forze dell’ordine, viene segnalato alla popolazione con una grande “M” tracciata a sua insaputa sulla giacca. Acciuffato il serial killer, i malviventi vogliono processarlo, ovviamente a modo loro. Quale sarà il destino di “M”? Sebbene il titolo della pellicola faccia riferimento alla città di Dusseldorf, i casi di cronaca narrati nel film sono realmente accaduti a Berlino nell’ormai lontano 1925. Il film, datato 1931, venne disapprovato da Joseph Goebbels il quale parlò tal proposito di “arte degenerata”. In realtà “M – il mostro di Dusseldorf” è stato sempre valutato positivamente dalla critica che ha apprezzato tanto il linguaggio moderno quanto il continuo ricorso alle immagini d’impatto, tanto il crudo realismo quanto la profondità psicologica del personaggio principale.