Il miglio verde

Paul Edgecomb è ormai un uomo anziano che trascorre i suoi ultimi giorni nella fissa monotonia di una casa di riposo. Quando Elaine Connelly, una cara amica, va a trovarlo decide di raccontarle una toccante storia vissuta in prima persona. Un tempo, parecchi decenni addietro, Paul era il capo delle guardie preposte alla sicurezza del carcere di Cold Mountain. Il suo compito, insieme a quello dei suoi sottoposti, era quello di sorvegliare i detenuti rinchiusi all’interno del braccio della morte. A Paul la direzione del carcere aveva affidato soprattutto quattro prigionieri: ciascuno di essi si era macchiato di gravissimi crimini contro la società e, come stabilito dalla legge del paese, doveva essere giustiziato. I criminali, dopo aver trascorso molto tempo all’interno del penitenziario, erano giunti alla fase finale della loro detenzione; erano pronti ad attraversare cioè il miglio verde, ossia un lungo corridoio la cui pavimentazione verdognola strideva con il grigiore delle pareti e che conduceva direttamente alla sedia elettrica. Nel corso della sua lunga carriera Paul ha accompagnato un infinito numero di disgraziati diretti al luogo dell’esecuzione; alcuni erano disperati, altri pentiti, altri ancora arrabbiati con il mondo giuravano che avrebbero commesso nuovamente tutti i loro crimini se solo ne avessero avuto la possibilità. Nessuno di loro però poteva, nemmeno lontanamente, essere paragonato a John Coffey, un uomo di colore dalla fisicità esagerata, mastodontica, finito dentro con l’accusa di aver trucidato due sorelline di nemmeno dieci anni. A tanta prestanza fisica faceva da controparte una delicatezza d’animo mai vista prima frammista a tratti comportamentali ancora fanciulleschi che lasciavano dubitare circa l’effettiva fondatezza delle accuse a suo carico. A completare il quadro infine concorreva un insolito potere sovrannaturale che John usava su chiunque gli fosse capitato a tiro… La pellicola, datata 1999, è liberamente ispirata ad un omonimo scritto di Stephen King.